Riceviamo e pubblichiamo, dal cardiologo Nello Olivieri, uomo di elevata cultura non solo nella sua specifica specializzazione,peraltro ampiamente riconosciuta dalla una vasta clientela. Il suo è un attento commento sul ruolo che ebbe, Ponzio Pilato, nella decisione di autorizzare, sotto minaccia, la crocifissione di Gesù. Una serie di considerazioni, inanellate con rara capacità, con passaggi rapidi e centrati, tanto da rendere lo scritto di delicata lettura. Lo proponiamo per una riflessione che, forse, pochi hanno fatto fino ad oggi. Lo scritto del Dottor Olivieri offre questa opportunità, a credenti e non, su una storia avvenuta ma scivolata, troppo facilmente, impegnati dal frenetico lavoro quotidiano, che ci allontana sempre di più da una vita vissuta con saggezza. Ecco lo scritto interessante frutto, credo fortemente, dal periodo del “Iorestoacasa”:
“La recente festa di Pasqua resurrezione ha riproposto a noi cristiani la figura dell’allora governatore della Palestina. Di Ponzio Pilato, prefetto romano della giudea al tempo di Cristo ( dal 26 al 36 dc – imperatore Tiberio-) abbiamo scarne notizie dalla storia laica, mentre il personaggio è assolutamente noto al mondo per la sua presenza nei Vangeli, dove, mi sembra, rimane l’ unico politico romano citato. Nel nostro immaginario, influenzato dalla narrazione evangelica del giudizio del Cristo, la figura di P.P. ( e per estensione, il suo aggettivo pilatesco) coincide con quella dell’ ignavo. Eppure P.P. ben tre volte chiama Gesù “un giusto”, del cui sangue non vuole macchiarsi, ben tre volte ne rinvia il giudizio al popolo, che, sobillato da Caifa e dagli scribi, incita alla crocifissione. Ancora P.P. , da politico navigato, cerca alternative percorribili a quella della pena capitale: a)l’ invio dell’ imputato ad Erode Antipa , il tetrarca della Galilea : “ il nazareno ricade sotto la tua giurisdizione “, perchè sa che, come gli ha ricordato Caifa, agli ebrei è impedito comminare sentenze di morte; b) “ lo condannerò alla fustigazione e solo dopo lo manderò libero”; c) proporre una scelta in altri tempi improponibile fra la liberazione di Gesù, “l’ innocente”, e quella di Barabba condannato per rivolta ed omicidio. Ma ( a ) Erode, insieme affascinato dalla persona del Cristo ed intimorito dal chiaro volere dei sacerdoti, rinuncia alla sua prerogativa di giudice monocratico ed inappellabile, veste Gesù di una tunica preziosa e lo rinvia a P.P. La folla ( b e c ) ormai votata al linciaggio nega la pena crudele ma ancora troppo troppo blanda della fustigazione ed urla la grazia per il reo Barabba. P.P. resisterebbe ancora perchè sa che il giusto gli è stato consegnato dolosamente dal Sinedrio “ per invidia” e perchè anche la moglie lo avverte “ non avere a che fare con quell’ innocente”, ma deve arrendersi alla perfidia di una minaccia non velata dei capi dei sacerdoti. “ Tu ( prefetto di Roma e vicario dell’imperatore) , se liberi costui che si è proclamato re dei giudei, non sei amico di Cesare, che noi riconosciamo come unico nostro re “. Messo difronte all’accusa di tradimento delle istituzioni che rappresenta, P.P. si arrende e consegna Gesù ai suoi carnefici. Anche qui però con la ritrosia e la metafora di un grande gesto pubblico, una vera icona :” io mi lavo le mani del sangue di questo giusto”. Sangue che mentre scivola con l’ acqua dalle mani di P.P. viene invocato dalla folla tumultuante perchè “ ricada su di noi e sui nostri figli” . E la Storia, purtroppo, sembrerà accontentarla mille e mille volte. Pertanto il mio giudizio è di completa assoluzione del governatore e la mia empatia va tutta a questo personaggio ingiustamente vituperato dalla storia e così sfortunato ( anche il P.P. del libro “ Il maestro e Margherita “ di Nabokov soffre, da giudice dilaniato dal dubbio, di insonnia e di tremende emicranie). A parziale riparazione di questa ingiustizia propongo di abolire dal nostro vocabolario i termini “pilatesco” e “ lavarsene le mani “, non sperando che se ne possa cambiare il significato comunemente accetto”.